Il 5 settembre è il giorno più brutto dell'anno.
Peggiore del 10 febbraio e dell'11 aprile, che pure sono orribili, e perfino del primo novembre, che è il principio di ogni demone per me.
Ci sono vite che non vivi per un soffio.
E che dovrebbero continuare a scorrerti accanto, parallele, e spudoratamente felici.
In qualche modo ancora tue, anche se non le hai scelte.
In qualche modo ancora tue, anche se appartengono a qualcun altro, ed è giusto così.
Ci sono tragedie che non vivi per un soffio, eppure le vivi per sempre.
Non c'entra il rimpianto, e nemmeno qualche forma di sterile pentimento.
La mia scelta migliore siede ancora accanto a me, e per fortuna.
C'entra l'amore, solo quello.
E l'amore non lo puoi scordare.
Non lo cancelli dalle vene, non lo strappi dagli occhi.
È quello che ti ha cresciuto e condotto fin qui.
È quello che sono, ed è quello che siamo.
Passano gli anni e si succedono gli anniversari.
Presenti sempre gli stessi, forse qualcuno in meno, ma ancora molti.
Resta la rabbia di non saperti felice.
Da qualche parte, lontano da me, ma felice.
Restano gli amici, i tuoi, quelli che mi hai lasciato come la migliore delle eredità.
E resta la vita insieme.
Le canzoni sotto le stelle, quelle brasiliane delle estati felici.
Una valigia all'ultimo minuto e sempre in giro per il mondo.
Pasqua a Berlino e gli aceri rossi dell'autunno a New York.
Il mare, parecchio in basso, ma io non ci vado più, e la montagna, parecchio in alto.
La campagna, la tua, dove ti piaceva alzarti la mattina presto e girare scalzo, e io a portare giù coperte che non ti avrebbero protetto mai a sufficienza.
Le città, le mie, e tu dietro a fotografarmi i denti - Ma come fai ad averli così belli? Una foto ancora, giuro che questa è l'ultima.
La nostra Africa, quella che abbiamo sognato e vissuto, e poi insegnato a qualcun altro.
La Firenze che era mia e poi è diventata anche tua. Le tagliate ad orari poco convenienti, e montagne di fiorentine, che io ancora non ero vegetariana e tu questa cosa non l'avresti mai capita.
Resta il cane che hai visto nascere, che hai cresciuto e che dormiva con te, come nel migliore dei rifugi.
Resta la nostra vita insieme, che è solo nostra, e non racconterò qui.
Ciao Ale, sono passati quattro anni da quel 5 settembre e siamo ancora qua, a fare due chiacchiere, come mille altre volte insieme.
Forse dovrei presentarmi, perché il nome è ancora lo stesso che era anche il tuo, ma questa donna che sono diventata tu non la conosci più.
Ho 34 anni.
Sono passati in fretta, ma li ho vissuti tutti, anche quelli senza di te.
Scrivo ancora, più di prima se è possibile, e non ci crederai ma in qualche strano modo questo è diventato il mio lavoro.
Ti presento il mio masterpiece.
Si chiama Martina, ha quasi cinque anni e una discreta padronanza del mito, degli Argonauti e del vello d'oro. Proprio quelli che ti facevano ridere, e che dicevi non mi avrebbero portato lontano. Avevi ragione: le mie erano mani da chirurgo, e se lo avessi voluto avremmo fatto incredibili operazioni insieme. Avremmo aperto palati e ricostruito sorrisi. Ma io non ho voluto e i miti al massimo mi hanno portato a Pechino. Non è molto lontano, siamo d'accordo, però sono serviti a lei, e va bene così.
Sono stata all'inferno, prima e dopo di te, ma sono tornata.
Certe pessime abitudini le ho perse, altre semplicemente ho finito per accettarle.
Parlo meno di un tempo, e già non parlavo molto prima.
Corro e vado in bici come sempre, ma la spalla che abbiamo rotto insieme cadendo dal motorino quell'inverno alle prime gocce di pioggia, quella non l'ho mai recuperata del tutto.
In compenso la costola che si è spostata nella caduta si è saldata in una nuova posizione, e così in qualche modo ti porto sempre in giro con me, o almeno questo è quello che mi piace pensare.
Ho sbagliato spesso, ma non ho troppi rimpianti, o almeno non mi capita più di stare sveglia per quelli, e questo mi sembra già un grosso risultato.
Il cane che hai visto nascere e hai cresciuto ha trovato altre braccia e un nuovo rifugio, e non credo ne conoscerà altri. Ci vede poco ed è quasi sorda, ma ogni volta che pronuncio il tuo nome mi guarda con aria interrogativa, e mi lecca le mani. Non ti ha scordato, nemmeno alla fine, adesso puoi smettere di domandartelo.
Le mie amiche sono sempre le stesse, so che saresti felice di saperlo, e io continuo ad amarle e a proteggerle come facevo un tempo. C'è una novità però: adesso, a volte, sono loro che proteggono me. E poi c'è Rachele nella mia vita, e tra poco arriverà anche Lorenzo. Loro non sono figli miei, ma è come se lo fossero, e tu sai che voglio dire.
Questo non è tutto Ale, ma forse è tutto quello che devi sapere, adesso, da lì.
Devi sapere anche che ho amato dopo di te, e che amo ancora.
Che mi manchi ogni giorno, ancora adesso.
Che alle domande di Brulée, e anche alle mie, proprio non riesco trovare una risposta.
E che il cinque settembre è per me il giorno più brutto dell'anno, e lo sarà sempre.
Per il lime curd, la ricetta qui:
350 g panna liquida
20 g zucchero a velo
Per il crumble:
50 g farina
50 g zucchero di canna
50 g burro pomata
50 g farina di nocciole
un pizzico di sale
Per il crumble. Mescolare il burro e lo zucchero, aggiungere la farina e la farina di nocciole senza lavorare troppo il composto. Avvolgere nella pellicola trasparente e fare riposare in frigorifero per almeno un'ora. Staccare la pasta in piccoli pezzi e cuocere in forno preriscaldato a 180° C fino a colorazione.
Montare la panna con lo zucchero a velo. Montare i bicchieri partendo dal lime curd, aggiungere la panna, il crumble, poi ancora panna e lime curd. Terminare col crumble alle nocciole.