domenica 29 maggio 2011

Pane alle banane

Io e Mirjam non siamo mai state amiche. 
Anzi. 
Penso di poter serenamente affermare, a nome di entrambe, che non ci siamo mai potute vedere. 
Direi che... ci siamo rimaste sempre un po' sullo stomaco, per usare dei termini congeniali a questo blog.

Poi le cose sono cambiate.
In un modo terribile.
Nel peggiore dei modi.

E ci siamo avvicinate. 

Stamattina mi sono svegliata presto: la giornata è ricca di impegni, ma io volevo cucinare qualcosa per lei.
A dire la verità non ho esattamente cucinato per lei, non ancora, anche se  spero di farlo presto.
Però ho cucinato pensando a lei, e l'ho fatto mettendoci dentro tutto l'amore che potevo.

Mi sono svegliata con una incredibile voglia di fragole. 
Sono così belle in questo periodo. 
Avevo in mente un soufflé freddo alle fragole. 
Leggero, quasi etereo, almeno nelle mie intenzioni. 

Ma poi... ci ho ripensato. 
A Mirjam non piacciono le cose delicate. 
Fino a ieri non lo sapevo, non ne avevo idea. 
La conosco da così tanto tempo eppure... praticamente non la conosco affatto.
A lei piacciono i piatti sostanziosi, e i sapori decisi.

E così ho rispolverato una vecchia ricetta di Luca Montersino.
Un pane alle banane per niente etereo e delicato, ma proprio buono.
E, come se non bastasse, l'ho tagliato in due e farcito con una golosa ganache al cioccolato fondente.
L'ho spennellato con del cioccolato temperato, e poi gli ho versato sopra una generosa manciata di mandorle tagliate a filetti e  tostate. 


Ecco adesso è proprio quello che volevo.
E' quello che volevo dedicarle.


Però... se solo potessi riportare indietro il tempo e farle un vero regalo, preferirei che lei continuasse ad odiarmi, e che potesse essere incredibilmente felice.




Per il pane alle banane:
500 g banane pulite 
500 g zucchero semolato
500 g farina debole
120 g olio di semi
240 g uova intere
55 g latte intero (per chi è intollerante si può sostituire con acqua)
20 g bicarbonato
15 g sale
2 g lievito 
200 g cioccolato fondente in gocce


Per la ganache al cioccolato:
580 gr cioccolato fondente al 55%
600 gr panna liquida fresca
210 gr burro
60 gr zucchero invertito o glucosio


Per la finitura:
300 gr cioccolato fondente
mandorle a filetti


Per il pane alle banane. Mettere nel cutter le banane con lo zucchero, aggiungere il latte e poi, mentre continua a frullare, unire le uova e l'olio a filo. In una ciotola capiente setacciare insieme tutte le polveri. 
Versare sopra il composto di banane e mescolare bene con una frusta.
Aggiungere per ultime le gocce di cioccolato.
Versare in uno stampo da plum cake imburrato e infarinato, ed infornare a 170° per 25-30 minuti circa.

Per la ganache. Portare a bollore la panna con lo zucchero invertito e versarla sopra il cioccolato fondente tagliato a pezzi. Mescolare con un frullatore ad immersione avendo cura di non incorporare aria. Unire il burro a pezzetti continuando ad emulsionare col frullatore.

Fare intiepidire la ganache, poi usarla per farcire il pane alle banane tagliato in due nel senso della larghezza. Con il cioccolato temperato spennellare la superficie del dolce, fino a formare una crosticina sottile, sulla quale versare velocemente sopra le mandorle tostate.

domenica 22 maggio 2011

Riso al latte

Questa volta l'occasione era davvero importante. 
Festeggiare il compleanno di Coquinaria e, con la scusa di fare due chiacchiere, tirare un po' su il morale della Ross.
Bisognava affrontare un "mostro" culinario.
E cucinare tenendo su delle scarpe da urlo.
Beh... io l'ho fatto.
Ho messo su i tacchi più alti, quelli che mi fanno sentire una donna wow e che mi fanno urlare per il dolore, e ho affrontato un piatto sacro.
Forse non un mostro culinario per tutti.
Ma per me sì.
Perché questo dolce lo faceva mia nonna.
Che aveva il cuore di ghiaccio, ma cucinava come una dea.
Negli anni ho variato mille volte le dosi, i modi e i tempi di cottura.
Questa ricetta è molto buona, ed è quella che più si avvicina all'originale, ma quel sapore perduto, quel sapore... credo proprio che non lo ritroverò mai più.


500 g latte intero
100 g riso dal chicco tondo
60 g zucchero
i semi di messo baccello di vaniglia (ma mia nonna usava la scorza di un limone)

Sciacquare rapidamente il riso sotto l'acqua corrente. Fare bollire il latte con i semi del baccello di vaniglia. Quando il latte ha raggiunto il bollore, versarvi sopra il riso a pioggia. Coprire con un coperchio e fare cuocere a fiamma bassissima, mescolando spesso. Aggiungere lo zucchero e riportare sul fuoco ancora per 5 minuti, continuando a mescolare con una spatola. Allontanare dal fuoco e mangiare caldo, o tiepido.

Io lo mescolo pensando a mia nonna.
Voi preparatelo pensando a qualcuno che avete amato intensamente, altrimenti non viene bene.



lunedì 16 maggio 2011

Madeleines al miele ai fiori d'arancio

Ancora Madeleines.
Questa volta una ricetta francese.
Presa da questo delizioso sito.
Quali siano le più buone?
Stento a capirlo.
Queste sono più elastiche.
Forse più simili alle originali.
E profumate da togliere il respiro.
Quelle di Santin erano più morbide.
Forse più vicine al nostro gusto.
E... così incredibilmente buone.



120 g farina
100 g burro 
70 g miele
30 g zucchero
2 uova
1 cucchiaino lievito
1 cucchiaio acqua fiori d'arancio
cannella 
1 pizzico sale

Sbattere le uova con sale e cannella, aggiungere lo zucchero e mescolare dolcemente. Fondere insieme burro e miele. Mescolare insieme la farina col lievito e, con un setaccio, unirli al composto di uova. Aggiungere il burro fuso col miele e l'acqua di fiori d'arancio. 
Lasciare riposare in frigo per almeno un paio d'ore (lo choc termico è fondamentale per far sviluppare la petite bosse, croce e delizia di quanti adorano questi piccoli dolcetti e poi impazziscono nel cercare di ricrearli). 
Preriscaldare il forno a 230° gradi, versare il composto negli stampi per madeleines e infornare per 8 min circa, o finché non si forma la gobba, poi abbassare la temperatura a 180° e sfornare dopo 5 min.

sabato 14 maggio 2011

Madeleines



Chissà perché non le avevo mai fatte prima di stasera.
Chissà quale incantesimo finora mi aveva fatto arretrare intimorita.
Forse la paura di non riuscire a riprodurre la petite bosse che le rende tanto speciali.
O forse... chissà.
Queste madeleines non saranno quelle di Proust.
Certo che no.
Sono quelle di Santin.
Mica male.
Davvero, mica male.


4 uova
200 g zucchero
250 g farina
8 g baking
50 g latte
125 g burro fuso
la scorza grattugiata di un'arancia biologica
un pizzico di cannella in polvere

Rompere le uova, aggiungere lo zucchero e sbattere bene il composto con una frusta. Unire il lievito setacciato con la farina, il latte, il burro fuso, la scorza d'arancia grattugiata e la cannella in polvere. Versare nell'apposito stampo e infornare a 170° per 10 min circa. 

Chiudere gli occhi, e pensare a Parigi. 
Forse non sarà indispensabile per la buona riuscita della ricetta, ma gioverà di certo al vostro umore.

sabato 7 maggio 2011

Mousse di yogurt alle pesche

Ho voglia d'estate. 
Di scoprire le gambe. 
Di alzare i capelli. 

Ho voglia di lunghe passeggiate sulla battigia.
Lì dove non è ancora mare, eppure non è più terra.

Ho voglia di mettermi in costume e scoprire che... suvvia, non mi sta poi tanto male.

Ho voglia di leggerezza, e di sapori freschi.

Mi affanno a cercare nella memoria, e nel ricettario che sempre mi accompagna, qualcosa che possa andare bene, poi mi fermo: me la ricordo.
Un'illuminazione.
È quello che cercavo.
È quello che ci vuole.
È quella che vado a fare.





Per la chantilly allo yogurt:
500 g yogurt cremoso alle pesche
500 g panna 
8 g gelatina 


Per la gelée alle pesche
250 g purea di pesche (vanno bene anche quelle sciroppate)
30 g zucchero
6,5 g gelatina 
1 cucchiaio succo di limone


Fare idratare la gelatina in acqua fredda e semimontare la panna. 
Scaldare un po' di yogurt e sciogliervi la gelatina reidratata e ben strizzata. Unire lo yogurt restante e incorporare delicatamente la panna lucida.
Versare il composto in un cerchio da pasticceria, nei bicchierini, nelle coppe Martini o dove più vi piace, livellare la superficie con una spatola e fare raffreddare in frigo.


Fare idratare la gelatina in acqua fresca. 
Scaldare una parte della purea, unirvi lo zucchero, la gelatina reidratata ed il succo di limone.
Amalgamare ed aggiungere il composto la frutta restante.
Versare sopra la chantilly allo yogurt e porre in frigo a raffreddare.

giovedì 5 maggio 2011

Mio marito dice che

Mi presento agli utenti e ai visitatori di questo blog. Mi chiamo Gaetano e sono il marito di Alessandra, e in queste righe vorrei parlarvi di cosa è, dal mio punto di vista, Piccola Pasticceria Sperimentale e di come ho vissuto la nascita del blog.
Piccola Pasticceria Sperimentale nasce dalla sfrenata passione di mia moglie per l’arte culinaria e dal suo talento innato per la scrittura, dalla sua voglia di condividere le proprie esperienze e dalla necessità di farlo coinvolgendo le persone a lei più care, e per mia fortuna posso essere annoverato tra queste.
Per la verità, finora, il mio contributo a questo blog si è limitato alla sola registrazione del dominio e all’impostazione dell’interfaccia grafica. Forse ho anche suggerito il nome, ma ne abbiamo discusso così a lungo prima di farlo, che in realtà non sono neanche sicuro che sia stato una mia idea.
Pensate un po’, non sono neanche riuscito a registrarmi come primo utente, perché prima di me lo ha fatto Eleonora, la più cara amica di Alessandra.
Per cercare di recuperare terreno ho pensato di preparare un testo che riassuma per intero mesi e mesi di riflessione tra il sottoscritto e Alessandra attorno al concetto di Piccola Pasticceria Sperimentale, prima ancora che questo si trasformasse in blog.
Ed ecco cosa ho da dirvi.
«Française Marie-Antoine Carême, fondatore della moderna arte dolciaria, all’inizio del XIX secolo scrisse: “Le belle arti sono cinque: pittura, scultura, poesia, musica e architettura, e la principale branchia di quest’ultima è la pasticceria”.
La rivoluzione artistica del ventesimo secolo ha avuto il merito di considerare l’arte non più come oggetto di culto da museo, ma come prodotto artistico alla portata di un pubblico più ampio, i cui contenuti prendono forma dal panorama quotidiano che ci circonda. Nel ventunesimo secolo, invece, è il design, come massima espressione del senso estetico di un prodotto, ad acquistare importanza artistica: l’oggetto, disegnato secondo criteri di stile, utilità ed economia di riproduzione, diventa il protagonista dell’immaginario collettivo, promuovendo l’abolizione dei confini tra le arti in favore di un’interdisciplinarità e di un interconnessione tra i saperi.
Nell’attuale panorama culturale il cibo gioca un ruolo importante. Gran parte della nostra vita è scandita, accompagnata e, per così dire, “circondata” dal cibo e il connubio arte–cucina viene sempre più proposto allo scopo di esaltare le peculiarità della cucina moderna come specchio della realtà contemporanea.
“L’esperienza quotidiana” del cibo, sottratta almeno in parte alla sua funzione esclusivamente nutritiva e collocata in una dimensione più propriamente simbolica, è dunque connessa a una moltitudine di significati e di valori che spesso interagiscono con altri campi ed esperienze.
I problemi e le questioni inerenti il design e il “fare esperienza” hanno ampliato l’importanza della problematica alimentare e in questo contesto l’estetica, in quanto scienza della sensibilità, può offrire un grande contributo. L’estetica, infatti, appare come la scienza delle qualità per eccellenza e, come tale, reclama il diritto di annoverare tra i suoi oggetti di studio anche l’esperienza del cibo in tutti i suoi molteplici aspetti.
“Curare l’estetica” è un modo di dire che richiama sensibilità e attenzioni verso forme, modalità di espressione o di rappresentazione negli ambiti più diversi, ma in tutti questi ambiti il termine “estetica” sta ad indicare “buon gusto”. Dunque, essere attenti all’estetica significa avere sensibilità per qualità e bellezza, per la buona e piacevole reazione dei sensi a determinati oggetti o esperienze.
Viviamo oggi, come molti sostengono, una “età estetica” che riguarda ogni aspetto della vita quotidiana e un’estetica del cibo rientra in quelle che possono essere definite come “estetiche del quotidiano”.
Se è corretto sostenere che un’estetica del cibo può avere a che fare con la vista - ed è in questo senso che spesso viene problematizzato il rapporto tra cucina e arte, inteso come la capacità di elaborare pietanze complesse da realizzare e belle da vedere - tuttavia essa non si riferirà in modo particolare solo alla vista. Studiare il cibo esteticamente, infatti, significa studiarlo attraverso una griglia sensoriale.
Le scelte cromatiche, l’elaborazione delle forme, i rapporti tra gli ingredienti, legittimano l’estetica ad affrontare la questione del cibo nella sua integralità sensoriale. Occuparsi di cibo da una prospettiva estetica significherà dunque trattare la scienza della sensibilità nel senso più vasto possibile, mettendo in relazione bello e buono.
Il cibo, in definitiva, così come qualsiasi prodotto di design, nasce per soddisfare un'esigenza “polisensoriale” dell'uomo e, nel suo contesto più esplicitamente creativo, l’arte pasticcera è vista come una delle massime espressioni della vita estetizzante. In questo contesto si colloca senza alcun dubbio Piccola Pasticceria Sperimentale, che basa le sue regole sull'applicazione di norme derivate dalle arti visive combinate con il “polisensoriale”, alla ricerca di quella soluzione unica che renda il prodotto una perfetta combinazione di gusto, consistenza e design.
Creatività, qualità, tradizione e stile sono gli ingredienti essenziali che caratterizzano l’arte pasticcera secondo il modello di Piccola Pasticceria Sperimentale».

domenica 1 maggio 2011

Lemon fondant


Ogni tanto bisogna cambiare.
In cucina come nella vita.
Bisogna avere coraggio, abbandonare le vecchie abitudini, e sperimentare qualcosa di nuovo.

Un taglio di capelli, così corto da farti sentire freddo alla nuca.
Un libro di quell'autore che proprio non riesci a digerire.
Una nuova frolla.
Meglio.
Una sablè.
Così friabile che sembra possa sbriciolarsi ad uno sguardo più intenso.
Così incredibilmente british.
E così profumata da metterti di buon umore per tutta la giornata.

Ogni tanto bisogna cambiare.
Non sempre.
Ma ogni tanto bisogna farlo.

Questa volta è andata bene.
La prossima... chissà.


250 g farina debole
2 cucchiai di maizena
170 g burro pomata
40 g zucchero a velo
la buccia grattugiata di 2 lime
2 cucchiai di succo di lime
1 cucchiaio di estratto di vaniglia
un pizzico di sale


Unire lo zucchero a velo al burro pomata e lavorare il composto finché non diventa una morbida crema. 
Aggiungere la scorza grattugiata e il succo del lime, il sale e l'estratto di vaniglia. 
Miscelare insieme la farina setacciata e la maizena, poi  unire le polveri al composto e lavorare fino a formare una palla compatta (io ho usato la foglia della planetaria ma, con queste quantità, è un'operazione che si può fare tranquillamente a mano). 
Formare due cilindri regolari, avvolgere con carta da forno o pellicola trasparente e conservare in freezer per mezz'oretta. Quando i cilindri sono ben raffreddati, con un coltello dalla lama lunga e affilata, tagliare i biscotti ad un'altezza di 1\2 cm circa ed infornare in forno preriscaldato a 180° per un quarto d'ora o poco più.
Uscire i biscotti dal forno e farli intiepidire toccandoli il meno possibile.
Dopo 10 minuti spolverizzarli con abbondante zucchero a velo.
Dopo un paio di giorni sono molto più buoni che appena sfornati, quindi... armatevi di santa pazienza e... aspettate amici, aspettate, perché ne vale la pena.