lunedì 30 marzo 2015

Riso al latte, lamponi e speculoos

Bianca.
Come la brina in campagna.
Come un quadro bianco.
Come il primo latte, che bianco non è.

Come tutte le stelle e come Saturno, a cuore nudo.
Come le foglie del basilico sulla pelle.
Come il profumo del libro che ancora non c'è.

Bianca di farina sul naso, e di capelli scomposti.
Di ragù generosi e di nasi all'insù.
Di musica buona dopo il buio che so.

Bianca di parole e di silenzi.
Di richieste e di assensi.
Di tutto quello che pensi.
Bianca è così.



Per il riso al latte:

250 g latte intero fresco
150 g panna liquida
100 g riso a chicco tondo
50 g zucchero semolato
mezzo baccello di vaniglia

Per la gelée di lamponi:
125 g lamponi
20 g zucchero semolato
la scorza grattugiata di mezzo lime
2 g gelatina in polvere

Per finire:
qualche speculoos (la ricetta qui)

Per il riso al latte. Sciacquare il riso in abbondante acqua fredda. Scaldare il latte, la panna e lo zucchero insieme al baccello di vaniglia inciso a metà. appena prima del bollore unire il riso e cuocere lentamente, mescolando spesso, perché non si attacchi. A cottura ultimata, quando cioè il riso avrà assorbito tutto il latte e la panna, versarlo in una boule e fare freddare.

Per la gelée ai lamponi. Aggiungere alla gelatina 10 gr di acqua fredda, e mescolare. Versare in una ciotola i lamponi con lo zucchero e l'acqua. Scaldare leggeremente, aggiungere la gelatina e mescolare bene, quindi allontanare dal fuoco e aggiungere la scorza di lime.

Versare nei bicchieri il riso, aggiungere la gelée ai lamponi e fare tirare in frigo per un'ora circa. Trascorso questo tempo, terminare con qualche speculoos sbriciolato, e servire. 

giovedì 26 marzo 2015

Canestrelli

Ci sono circa trecentomila lemmi nella lingua italiana.
Più il mare magnum dei lessemi. 
In totale... circa millemila parole di senso compiuto.

Millemila parole, eppure oggi non riesco a trovarne una adatta.
Bisognerebbe inventarne una nuova.
O forse sarebbe sufficiente prenderla in prestito.
Scontornarne i bordi.
Modellarla appena, stropicciandola con le mani.
Fino a disegnarle un senso nuovo.
E un vestito su misura.

Vorrei che  tacessero gli impegni.
Che si aprissero le porte.
Che si spegnessero i computer.
E che qualcuno mi gongolasse.
Che più o meno è una via di mezzo tra stringermi tra le braccia per farmi ballare un valzer, e cullarmi ondeggiando un po'.

Deve essere l'effetto del riscaldamento globale.
Con il disgelo dei ghiacci polari e quello che ne consegue.
Perché io non sono una donna che balla.
Figuriamoci poi se mi faccio cullare...

Fortunatamente gongolare non ha un senso transitivo.
E nessuno lo ha mai inventato.
Mangerò un biscotto.
Che é meglio.


Per i biscotti:
400 g farina debole
270 g burro
110 g farina di mandorle
110 g zucchero semolato
1 baccello di vaniglia

Per finire:
zucchero a velo q.b.


Versare nella planetaria la farina setacciata insieme allo zucchero, la farina di mandorle e i semi del baccello di vaniglia. Unire il burro morbido e impastare con la foglia. Stendere l'impasto in una teglia all'altezza di un cm circa, coppare i biscotti con uno stampo smerlato, ricavare il foro centrale, quindi fare riposare per un paio d'ore in frigorifero.
Cuocere a 180°C fino a doratura. 
Una volta freddati, coprire i biscotti con abbondante zucchero a velo.

Mangiare ondeggiando un po'. 

lunedì 16 marzo 2015

Soufflé freddo al caffè

Lunedì mattina.
Qualcuno dica al cielo di vestirsi a festa, ché la meteoropatia non va più di moda.

Buoni propositi per la settimana che inizia:
- lavorare di meno e dormire di più;
- comprare nuovi libri senza smettere di rileggere i vecchi;
- ridere molto, senza un perché. 

Fa freddo e quasi piove, ma non importa.
È lunedì mattina.
Animo, che il dolce è pronto.
Non può essere una cattiva giornata.


6 tuorli
80 g zucchero semolato
300 g latte intero 
500 g panna fresca
2 cucchiai caffè liofilizzato

Per finire:
dragèes al cappuccino
caffè liofilizzato


Sciogliere il caffè liofilizzato nel latte e portare a bollore. Lasciare freddare. 
Sbattere i tuorli con lo zucchero fino ad ottenere una montata bianca e spumosa. Versare il latte a filo, sempre mescolando con una frusta, quindi portare la bastardella sul bagnomaria e continuare a mescolare per incorporare aria, facendo attenzione che l'uovo non cuocia e  l'acqua non bolla. Quando il composto comincia ad addensarsi, allontanare dal fuoco e montare un po’ fuori dalla fiamma, poi di nuovo sul fuoco, sempre mescolando. Alternare questi passaggi per sette, otto minuti, fino ad ottenere un certo spessore. Versare la crema al caffè in una bastardella capiente e fare freddare.
Montare la panna e unirla delicatamente alla crema.
Coprire il bordo delle cocotte con una striscia di cartone, quindi rivestire con una banda di acetato. Fermare la struttura così ottenuta con un elastico, quindi versare il composto all'interno e riporre in freezer per dodici ore.
Al momento di servire, eliminare il cartone e l'acetato, spolverare con caffè liofilizzato setacciato con un colino a maglia fine e terminare con dragèes al cappuccino.


lunedì 9 marzo 2015

Torta di mele, ancora una

Chissà perché, tra le mille torte di mele che ho mangiato nella mia vita, nessuna è accompagnata da un cattivo ricordo.

L'unica che, nella storia, mi ha deluso un po', l'ho consumata in un ristorante stellatissimo, a chiusura di un cena altrimenti sublime. 
Sulla carta, niente da obiettare.
Un interessante gioco di temperature.
Una crema inglese alla vaniglia generosa di grassi, per equilibrare l'aroma secco e il gusto pungente della cannella. 
Una leggero sentore di croccante alle mandorle, per stimolare la salivazione.
Linee morbide nel piatto, in una presentazione che non voleva stupire, ma solo accompagnare.

Eppure, nel complesso, un dessert ordinario.
Non buono né cattivo.
Solo ordinario. 
Che è il modo peggiore di dire che un dolce non riesce a scaldarti l'anima.


Ci ho pensato e ripensato, a lungo, negli anni, a quella nota sottotòno a chiusura di uno spartito perfetto.
Non perché non possa esserci un passo incerto in un menu rifulgente, ci mancherebbe altro.
Piuttosto perché scomponendo il dolce nei suoi elementi e poi riassemblandolo, nella memoria, non sono riuscita ad individuare una falla, un errore tecnico, un sapore stonato.

Poi, all'improvviso, la folgorazione. 
Un bug concettuale, ecco il problema.
Non era la torta a mancare di note armoniche.
Ma il posto, bellissimo, in cui la mangiavo, ad essere fuori sincrono.
La tavola degna di un re.
Il personale di sala attento ad ogni sospiro.
I quattro o cinque bicchieri disordinati davanti al mio piatto.
La schiena scoperta e i tacchi alti oltre ogni ragionevole aspettativa.


Perché una torta di mele esige un tributo di spontaneità che nessuna stella del firmamento può garantire.
Un dazio di capelli fuori posto, la mattina presto.
Di briciole sul tavolo e chisenefrega.
Di occhi socchiusi, che è tutto più buono.

Questa torta non chiudeva un menu altrimenti perfetto.
Ma l'ho preparata nella mia cucina.
L'ho mangiata a piedi scalzi.
Evabenecosì.


3 mele a polpa soda
200 g farina integrale di grano tenero
200 g zucchero
110 g burro fuso
2 uova
2 limoni
16 g baking
un pizzico di sale
cannella q.b.

Sbucciare le mele, tagliarle a fettine sottili e irrorarle con il succo dei limoni. Aggiungere il sale e la scorza grattugiata dei limoni. Sbattere le uova intere con quasi tutto lo zucchero (lasciarne da parte un paio di cucchiai per la finitura), unire il burro fuso e poi la farina setacciata col lievito. In ultimo aggiungere all’impasto le mele e amalgamare bene.
Preparare una teglia passando burro e farina.

Versare il composto, spolverare la superficie con lo zucchero rimasto e la cannella in polvere, infornare a 170° fino a cottura.

giovedì 5 marzo 2015

Cannoli, i miei

Maschio è il cannolo, senza ombra di dubbio.


Imperioso, nella sua fisicità. 

Protervo, nella certezza del suo turgore. 
Perentorio, nella sicumera della sua perfezione. 

La sua struttura è essenziale: gli elementi che lo compongono si addizionano senza moltiplicarsi, né confondersi. 
Il suo equilibrio è sublime: un abito spigoloso promette unʼanima arrendevole, avendo il buon gusto di non celarla. 
Il suo ego è assoluto: rifugge ogni inutile orpello con la scanzonata indolenza di chi basta a se stesso, per solleticare lʼappetito. 

È la fonte di ogni malia. 
È la chiave di ogni desiderio. 
È il principio di tutte le cose. 

È maschio. 




Per le cialde:
500 g farina
50 g strutto
50 g zucchero
200 ml aceto o vino
un pizzico di sale

Per friggere:
olio di semi di girasole

Per la crema di ricotta:
500 g ricotta
230 g zucchero
50 g gocce di cioccolato fondente

Per finire:
cannella in polvere

Per i cannoli. Mescolare tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto liscio e omogeneo. Stendere la pasta in una sfoglia sottile e ritagliarla con un l'apposito coppapasta, o con uno rotondo, ottenendo dei dischi da stendere ancora col matterello. 

Arrotolare i dischi sugli appositi cilindri di metallo e friggere in abbondante olio di semi per circa sei minuti, o comunque fino a colorazione. Fare scolare lʼolio in eccesso, eliminare i cilindri di metallo e fare freddare le cialde. 


Per la crema: unire lo zucchero alla ricotta, passare la crema al setaccio due volte, poi aggiungere le gocce di cioccolato. Fare riposare. 



Al momento di servire, con un sac à poche riempire di crema i bicchierini, rompere una cialda e disporne i pezzi sulla ricotta. Spolverare di cannella in polvere.