Formatosi
alla corte dei migliori pasticceri del mondo e già pasticcere dell’anno,
Maurizio Santin gira il modo come consulente dolciario, tiene corsi, scrive
libri e da quasi dieci anni, con i suoi programmi su Gambero Rosso Channel, è
star indiscussa del palinsesto culinario in tv.
Un
uomo felice, questo è Maurizio Santin, a dispetto del colore del suo grembiule
e del carattere notoriamente “spigoloso”. Un uomo felice, e innamorato. Della
vita, innanzitutto, ma anche del suo lavoro, degli amici e della futura sposa.
Lo chef a Palermo è a palazzo Branciforte, l’edificio cinquecentesco acquistato
dalla Fondazione Sicilia e restaurato dal
genio appena scomparso di Gae Aulenti, che ospita al primo terra la Città del
Gusto del Gambero Rosso, dove ha tenuto un goloso corso di pasticceria.
Lei
è il figlio di Ezio Santin, colui che insieme a Gualtiero Marchesi negli anni
settanta ha rivoluzionato la cucina italiana. Ha mai avuto altra scelta, oltre
a quella di cucinare?
Onestamente, posso dire di sì. Finiti gli
studi, i miei genitori mi hanno lasciato libero di scegliere cosa fare. Ho
scelto di lavorare in cucina, e non me ne sono mai pentito.
Avrebbe
potuto restare al ristorante di suo padre, l’Antica Osteria del Ponte (tre
stelle Michelin) invece ha fatto una lunga gavetta. È stata la modestia a farla
andare via, o il desiderio di costruirsi un’identità personale?
La scelta veramente difficile per me era
quella di rimanere lì. Negli anni in cui ho lavorato con mio padre mi sono
accorto di saper fare il cuoco, ma di essere un pasticcere. Da quella decisione
poi è nata la mia fortuna: tenevo già dei corsi di pasticceria alla Città del
Gusto, e Stefano Bonilli (allora direttore) e Luigi Salerno (ancora oggi D. G.
del Gambero Rosso, ndr), mi hanno affidato la direzione tecnica della Città.
Tre anni dopo mi hanno proposto di andare in tv, e il mio programma, “Dolcemente”,
va in onda sul canale 411 di Sky da otto anni ormai.
Quando
ha scoperto di avere le potenzialità dell’uomo di spettacolo?
Io non sono un uomo di spettacolo, ma un
pasticcere. Un professionista che è arrivato alla tv da professionista: quando
ho cominciato a fare tv ero stato già eletto pasticcere dell’anno, avevo
scritto un libro e tenevo dei corsi professionali. E poi i miei programmi sono
estremamente semplici: arrivo, faccio una ricetta e vado via. Non c’è niente di
spettacolare, e così sarà sempre.
La
sua formazione è impressionante: Lenôtre, Ducasse, Blanc, Robuchon. Ha lavorato
con i più grandi del mondo. Chi considera un maestro nella sua vita?
Qualcuno meno noto, per così dire. Christian
Cottard, sopra tutti gli altri. Era il mio riferimento quando lavoravo da Alain
Ducasse, e ha stravolto il mio modo di ragionare. Per primo ha capito che ero
un pasticcere, mi ha affidato la responsabilità di una parte della pasticceria
dell’Hôtel de Paris, a Montecarlo.
Andrea Andreini, primo regista del Gambero
Rosso Channel. Oggi registro cinque o sei puntate del programma al giorno, ma
quando ho cominciato a fare televisione mi ha fatto ripetere per più di un mese
la stessa puntata. Lo considero ancora il mio mentore.
Poi, mentre ero consulente dolciario della
Nestlè , Peter Heilbron, allora direttore marketing di Perugina e Battista
Vanini, che mi hanno insegnato la logica e la tecnica necessarie per lavorare
in una grande azienda.
L’ultimo, Frédéric Bau, che lavorando da
Valhrona ha sviluppato una metodologia di pasticceria tale da semplificare il
nostro lavoro, e produrre il miglior cioccolato del mondo.
Quanto
conta per lei la generosità in cucina?
È fondamentale: faccio corsi, scrivo libri e
vado in televisione. Se non fossi generoso e onesto, non avrei nessuna
credibilità.
Dopo
aver assaggiato e cucinato di tutto, qual è il suo dolce preferito?
Il tiramisù, e lo preparo ancora con la
ricetta della crema che usava mia nonna.
Perché
è nero il colore della sua divisa?
Per Robuchon, e Dart Fener.
Come
ha detto, scusi?
Vedevo Joel Robuchon che portava sempre una
giacca nera, così mi sono ripromesso che ne avrei indossata una uguale il
giorno che avrei fatto qualcosa di veramente importante. Quel giorno è arrivato
nel 1998, quando sono stato nominato pasticcere dell’anno.
Dart Fener invece lo cito per ridere, ma non
troppo, perché rappresenta la storia di un cambiamento, e incarna bene la
dualità che mi contraddistingue: sono preciso, duro, e poco simpatico nel mio
lavoro, ma gentile, accondiscendente e sempre sorridente lontano dalla cucina.
Il
successo di uno chef in televisione dipende spesso dal pubblico femminile. Le
donne amano la sua cucina, il suo carattere ruvido e il modo in cui potrebbe
strapazzarle. Avrebbe mai pensato di diventare un sex symbol?
Diciamo che è stata una scoperta recente.
Dopo la fine del mio primo matrimonio,
mi sono accorto di essere “cercato” dalle donne e ho passato un paio d’anni
“vivaci”. Poi ho incontrato la mia bellissima moglie, e ho messo la testa a
posto.
Palermo
è pazza di lei. Il suo corso di pasticceria ha fatto il sold out dopo solo tre
ore dal momento in cui è stato possibile acquistarlo in rete. Che rapporto ha
con la Sicilia e i siciliani?
Ne sono profondamente innamorato. Io sono un
milanese doc, e credo di essere immune alla depressione. Ma se mi capitasse di
non sentirmi bene o di essere triste verrei qua: la gente sorride sempre ed è
bello ovunque. La eleggo volentieri a mia seconda patria.
Qual
è il suo sogno?
Una pasticceria sulla Madison, a New York,
perché quella è la città più bella del mondo.
Si
avvicinano le feste, cosa mette in tavola per rendere più dolce il nostro
Natale?
Sono un milanese, e se non mangio il
panettone vado dritto all’inferno. Oltre a quello… un dolce della tradizione,
ma rivisitato in chiave moderna, un tiramisù destrutturato e servito al
bicchiere, fatto di un cremoso al cioccolato, un biscotto savoiardo inzuppato
nel caffè, e uno sbuffo della crema al mascarpone più buona che c’è: quella
preparata con la ricetta della mia nonna.